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Difesa prima

•aprile 25, 2009 • 1 commento

DIFESADELPAESAGGIO  nasce come bisogno di difendere il nostro paesaggio,

ad ogni fruitore del blog lascio ampia scelta di significare il termine “paesaggio”.

Massimiliano Lucci


Difesa della Natura

•aprile 25, 2009 • 3 commenti

 

Difesa della Natura

“Fondazione per la rinascita dell’agricoltura”

 

A Bolognano in Abruzzo nel lontano 1984, Joseph Beuys annuncia al mondo sensibile la sua battaglia intellettuale contro la perdita dell’uomo, con l’azione Difesa della Natura. Io riprendo quell’antico enunciato, quell’antica energia propositiva, attualissima, “…perché così facendo se non altro, stimolo la discussione, la presa di coscienza, il che è già un atto di libertà”. Ora ferire una civiltà alla quale forse non apparteniamo più, è divenuto credo comune, il fatto che in coscienza questo viene evidenziato, provoca il cinismo ai giovani e l’impotenza ai meno giovani; la provincialità non è condizione geografica ma mentale e umana. Il difendersi culturalmente dalla barbarie del contemporaneo non basta, d’altronde molti dei nostri giovani sono pieni di carta straccia universitaria, illuminante in tal senso è il pensiero di Pier Paolo Pasolini “ …il tipo di persone che amo di gran lunga di più sono le persone che possibilmente non abbiano fatto neanche la quarta elementare, cioè le persone assolutamente semplici, …perchè la cultura piccolo borghese, almeno nella mia nazione, è qualcosa che porta sempre a delle corruzioni a delle impurezze; mentre un analfabeta, uno che abbia fatto i primi anni delle elementari ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura, poi si ritrova ad un altissimo livello di cultura.” Non è certo retorica ma in nuce porta un messaggio preciso, è l’uomo nella sua integrità, nella sua interezza, al centro della discussione e se si decurta l’humanitas, nessuna via è percorribile. Dover sopportare che questa ferita gli giunga dalle nuove generazioni, che sembra ignorino l’importanza del rapporto uomo–terra è ancora più profonda. È la “civiltà contadina” che ha generato Atene, il pensiero occidentale non è arrivato dall’aristocrazia ne dalla borghesia, il pensiero è nato dallo stretto rapporto, dall’osmosi dolorosa tra l’uomo e la natura. E se una cosa l’ha detta è quella dell’uguaglianza sociale in cui il baratto rappresentava la più alta forma di relazioni, un gesto naturale appunto. Appare incomprensibile, per così dire, questa frattura strutturale, perpetrata in maniera sistematica nei nostri giorni, nasconde un’angoscia esistenziale ancor più profonda. La spina dorsale viene meno, l’uomo perde la posizione eretta per assumere quella dell’animale, costringendolo così a guardare le vicende senza giusta distanza, ad un palmo dal naso. Canalizzare le pochissime risorse che abbiamo a disposizione, su come poter riattivare una miriade di bisogni che rimettano in moto l’uomo, è ora straordinariamente fondamentale. Il concetto stesso di socialismo implica il naturale, un significato che prima di essere filosofico è cosmico, arriva direttamente dall’evoluzione, dalla conquista della posizione eretta. Rimettere a frutto, seminare, questo è l’innovazione, ognuno con umiltà e con la consapevolezza che il raccolto verrà dopo i sacrifici. Ora, nel nostro Paese insiste un paesaggio unico al mondo, che ne fanno un tutt’uno, un’unica e uniforme immagine, questo in passato ha fruttificato con uomini caparbi, capaci, veri, i nostri avi. Questo discorso tende ad essere generale, dall’America all’Oceania, perché i bisogni veri degli uomini non cambiano. Quello che qui in Italia era portatore di un significato arcaico, cioè l’uomo contadino, ora è rarefatto, fino a sparire.  La terra è stata in grado di forgiare gli uomini, di fargli assumere una fisionomia precisa, di donarci i nostri nonni per nulla domi davanti le intemperie, con una loro sapienza, conoscevano i venti e le stelle, le fasi lunari, erano pieni di speranza per le loro famiglie. Un paesaggio generativo, che è il punto d’incontro tra Pasolini e Beuys, “il paesaggio umano”. Forse vale la pena porre la questione adesso, perché credo siamo ancora in tempo “la salvaguardia della natura come termine essenziale dell’ultimo umanesimo possibile”. Il mio appello è rivolto a tutti i giovani, quei giovani capaci ma timorosi, coraggiosi ma impauriti, seri ma rassegnati. Ecco, gli chiedo di riappropriarsi di quello che è stato sottratto loro, di quel paesaggio che sanno bene che è un valore e se lo vedono scippare in nome dei mille business di turno. Il futuro è stato davvero rubato, non vi è speranza, ne può esserci senza i giovani. Loro sanno benissimo che lo sviluppo può essere sostenibile, la tecnologia divenire veramente utile non nociva, che per riportare in attivo il bilancio di un Paese non occorre il cemento a tutti i costi, ma l’attenta valutazione del territorio e da uomini che creano, trovare nuove vie che possano preservare, rispettare, interagire con il paesaggio circostante. Paesaggio che fa muovere gli animi dai tempi degli albori della civiltà, fino ai giorni nostri. Tutti i “nostri” sforzi debbono tendere e pretendere una nuova via, la sola capace di rimettere in moto l’uomo, arenato nelle secche del nichilismo. Un paesaggio come “luogo di guarigione”. Non vi è più tempo per attendere chissà che cosa, occorre guadagnarsi il futuro e nessuno si senta escluso e chi decide di restare fuori, deve sapere che l’ignavia non genera niente. Ora è tempo di travalicare le nostre miserie giunte alla fine, occorre l’agire etico, fatto da persone con l’unica cosa che è rivoluzionaria, il sentimento. La consapevolezza di non esserci ora, di non contribuire, ognuno con le proprie idee, alla costruzione del proprio futuro equivale a non esistere. La vecchia tecnica già riproposta di disseminare discredito per chi vuole fare, è oramai inutile sui cuori refrattari, su ciò che non è più vivo, ora si abbia il coraggio intellettuale di confrontarsi sui contenuti, si appresti la terra per un buon raccolto. “[u]na tecnologia alternativa, o un alternativo procedere nell’agricoltura sono sempre questioni di energia ma esaminate sotto un altro punto di vista scientifico. In questo la pianta, gli animali e la terra non si osservano in termini meccanicistici, bensì se ne vedono i contesti energetici nei quali vivono. […] Questi uomini nuovi trovano interessante parlare per esempio con un vecchio contadino, che conserva ancora la consapevolezza che la vera alimentazione della pianta non passa attraverso i prodotti chimici, ma dipende anche dalla disposizione della luna e delle costellazioni planetarie. […] Ciò viene ad evidenziare che una volta esisteva una conoscenza di queste energie, una cultura, che oggi dobbiamo riscoprire per iniziare un’epoca tecnologica che meriti questo aggettivo. […] Solo allora diventa possibile inaugurare un’epoca tecnologica che sia veramente al servizio dell’uomo. […] La questione dell’agricoltura appare, in fondo, come una questione religiosa, perché una volta che noi ampliamo lo sguardo e vediamo anche le finalità invisibili dell’uomo, allora scorgiamo anche le finalità invisibili della pianta, il suo essere messa all’interno di tutto un universo che l’avvolge a livello cosmico. Solo allora l’uomo si accorgerà che il concime dipende in ultima analisi dalle stelle e dunque da una grandezza immateriale” J. Beuys.  La poesia come guida, come faro, come stella polare, come arma, saper come orientarsi, in questo mondo che non ha cammino ma solo una fine certa, è già un grande aiuto. Una poesia che è di una straordinaria attualità, il cui titolo guarda caso è “La Recessione”, vorrei dedicarla all’antica gente del mio Paese e a tutti gli uomini sognatori capaci di generare un paesaggio poetico prima che pratico.

Massimiliano Lucci

Rivedremo calzoni coi rattoppi

Rossi tramonti sui borghi

Vuoti di macchine

Pieni di povera gente

Che sarà tornata da Torino o dalla Germania

I vecchi saranno padroni dei loro muretti

Come poltrone di senatori

E i bambini sapranno che la minestra è poca

E che cosa significa un pezzo di pane

E la sera

Sarà più nera della fine del mondo

di notte si sentiranno solo i grilli o i tuoni;

e forse, forse, qualche giovane (uno dei pochi giovani buoni tornati al nido)

tirerà fuori un mandolino.

L’aria saprà di stracci bagnati.

Tutto sarà lontano.

Treni e corriere passeranno di tanto in tanto come in un sonno.

Le città grandi come mondi saranno piene di gente che va a piedi,

coi vestiti grigi e dentro gli occhi una domanda,

una domanda che è magari, di un po’ di soldi,

di un piccolo aiuto, e invece è solo di amore.

Gli antichi palazzi saranno come montagne di pietra,

soli e chiusi, com’erano una volta

Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verde,

nella curva di un fiume, nel cuore di un vecchio bosco di querce,

crolleranno un poco per sera, muretto per muretto, lamiera per lamiera.

I banditi (i giovani tornati a casa dal mondo così diversi da come erano partiti)

avranno i visi di una volta, coi capelli corti e gli occhi di loro madre,

pieni del nero delle notti di luna – e saranno armati solo di un coltello.

Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra, leggero come una farfalla, e ricorderà

ciò che è stato, in silenzio, il mondo e ciò che sarà. P.P.Pasolini

Massimiliano Lucci